Spirito e religione

Tutte le cose hanno un’anima; Dio è dappertutto; Ho un Dio tutto mio… e si potrebbe continuare a lungo. Le teologie a buon mercato – spesso supportate da interviste a divi e divetti della tv, del cinema e persino del calcio – supportano ed espandono idee personalissime e confuse su argomenti di essenziale importanza come la trascendenza, l’esistenza o la non esistenza di un principio creatore e la partecipazione o meno alla sua essenza. Molti elaborano o aderiscono a teorie astruse o semplicistiche all’insegna di un fai da te carico di pigrizia e pressapochismo. Leggere, meditare, confrontarsi, lavorare su se stessi non è né semplice né riposante – almeno, non sempre – e non stupisce che una gran massa di persone preferisca rintanarsi in luoghi comuni spirituali che non sono null’altro se non soluzioni di comodo preconfezionate, buone per ogni evenienza.

In questo ambito c’è un equivoco che forse è il peggiore di tutti, soprattutto per via della sua ancora vasta diffusione: ovvero, la confusione tra mondo religioso e sfera spirituale. Spesso, chi manca di una visione trascendente dell’esistenza, adducendo proprio questo motivo (Non sono credente), non affronta cammini spirituali di alcun tipo, non si cimenta con la meditazione, non sperimenta il silenzio come forma estrema di comunicazione. Ha quasi paura di entrare in un mondo diafano che considera superstizioso, ha paura che gli venga rubato qualche punto percentuale della sua razionalità. Un cammino spirituale? Per carità, roba da preti! sembra pensare qualcuno. Eppure, la spiritualità non implica necessariamente una visione religiosa del mondo, così come – esattamente nella stessa misura – non congela o impedisce l’attività razionale della nostra mente.

Il concetto di spiritualità proietta in un mondo invisibile e parallelo, del quale possiamo soltanto avere percezione quando scendiamo silenziosamente nelle profondità della nostra psiche – o del nostro animo, se si preferisce. La sua immaterialità può generare in qualcuno l’impressione che si tratti di una cosa inutile, opzionale, uno svago innocuo per adepti della New Age, e non un lato fondamentale dell’animo umano, dal quale possono derivare decisioni enormi, in grado di modificare radicalmente l’esistenza di una persona e – a cascata – di tutte quelle che le vivono accanto.

Lo spirito si nutre di silenzi; è solo nel silenzio interiore che ci rivela il suo vero volto. È spirito tutto ciò che riguarda il nostro essere e che non è materiale: esso si caratterizza come una sapienza istintiva e arcana, capace di costruire ponti e connessioni tra realtà fisiche o immateriali anche lontane, oltreché tra i lati consci e inconsci del nostro mondo interiore, ed è in grado di trovare soluzioni, prospettive e legami più o meno sotterranei ben al di là della logica razionale. Lo spirito può anche fare a meno della razionalità, pur senza escluderla a priori.

La discesa nelle profondità spirituali avviene principalmente utilizzando il potentissimo strumento della meditazione. La meditazione è uno spazio protetto che può avere molteplici scopi, dal semplice raggiungimento della calma interiore, alla conoscenza del proprio animo, al congiungimento e alla fusione con ogni essere vivente. Livelli diversi, tecniche molto simili.

La meditazione è anche uno spazio-tempo privatissimo, nel quale e durante il quale possiamo volerci bene: impareremo a stare in nostra compagnia, a conoscere meglio i vari tratti del nostro carattere – quelli positivi e quelli negativi.

La religione, invece, si fa strada in un ambito assai diverso, ovvero quello dominato dalla prospettiva teistica, cioè la credenza in un essere supremo.  Un Dio invisibile ma forte, in questo quadro, domina la vita del credente e sottende a ogni istante della sua giornata. Da lui provengono i progetti di vita; a lui tutto torna – magari per essere in qualche modo sottoposto a giudizio – in una sorta di prospettiva ciclica esistenziale.

La religione conduce dunque a un ambito metafisico, ovvero ci porta al di là del mondo fisico: le teologie sono innumerevoli – spesso, curiosamente, si somigliano, e in più di un punto – ma tutte possiedono e custodiscono l’aspetto fondamentale dell’af-fidarsi: af-fidarsi, avere fede, dare credito a qualcosa che non si vede e non si sperimenta con i sensi. Senza la fede non può esistere alcuna religione teistica.

Pur senza entrare negli specifici dettagli teologici, dobbiamo però rilevare che la religione si nutre di spiritualità e la preghiera – che in qualche modo funge da ponte tra i due mondi, quello religioso e quello spirituale – ne è l’espressione più evidente. Le sue fasi meditative presuppongono le stesse tecniche utilizzate nella meditazione laica: che si cerchi il vuoto interiore o che si rifletta su determinati aspetti della vita sacra a cui sentiamo di appartenere, non cambia l’entità e la forza con cui vogliamo raggiungere, nel silenzio interiore ed esteriore, le profondità del nostro essere e i legami, più o meno sotterranei, con tutto ciò che è altro-da-me.

La spiritualità può anche essere non religiosa; ma la concezione religiosa della vita, evidentemente, non può in alcuna maniera essere non spirituale.

In questa ottica, la spiritualità comunque intesa occupa una parte preminente nell’attività umana: un solido mondo spirituale, aperto agli altri e a se stessi, ben costruito e costantemente nutrito e controllato dalla meditazione o dalla preghiera – a molti non piacerà equiparare due entità effettivamente così diverse – è in grado di modificare profondamente l’agire dell’uomo. È stato scritto che se a tutti i bambini si insegnasse un qualche tipo di meditazione fin da piccoli e li si aiutasse a praticarla ogni giorno, in una sola generazione scomparirebbero dalla faccia della Terra tutti i conflitti.

Non poco.

Eppure, per un malinteso senso di superiorità delle faccende fisiche ed economiche su quelle immateriali – con il conseguente sbiadimento della componente empatica che fiorisce proprio nel giardino delle Immaterialità – alla vita dello spirito l’essere umano tende a dedicarsi poco, troppo poco.

Un terribile errore, che paghiamo quotidianamente in termini di morti uccisi in guerra, di sopraffazioni economiche, di violenze collettive e domestiche di ogni tipo.

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