Sono più importanti i contralti o i tenori?

In un coro polifonico, sono più importanti i soprani o i baritoni? In un ospedale, occupa un posto di maggiore rilievo il reparto di gastroenterologia o quello di cardiologia? E in un’automobile, non potremmo rinunciare ai cilindri o ai freni?

Richieste stupide, ovviamente.

Chiunque, a sentirsi rivolgere queste domande, facendo ricorso a una buona dose di pazienza e gentilezza, risponderebbe che sono importanti tutti, che ogni componente ha pari dignità con gli altri e, se se ne togliesse anche uno solo, l’organismo o il meccanismo nel complesso soffrirebbe in modo grave.

Se è vero che in certe situazioni lapalissiane nessuno può avere il benché minimo dubbio, è altrettanto vero che in certe altre circostanze le nostre risposte si fanno ben più sfumate, incerte, quando non apertamente contraddittorie o francamente sbagliate.

Se capissimo che nel mondo ogni singolo componente dell’umanità ha pari diritto e dignità di qualunque altro – e, a quanto pare, ha contato poco finora che le Carte internazionali dei vari diritti siano andate ripetendo in modo reiterato e ossessivo nel corso del tempo questo refrain – non esisterebbero razzismi, sessismi, violenze e sopraffazioni varie assortite: un bimbetto nato e cresciuto in un poverissimo slum di qualche periferia disumana e un amministratore delegato di una potente multinazionale dovrebbero ricevere esattamente la stessa quantità di considerazione e cure.

Favolette utopiche, si dirà. L’isola che non c’è.

Eppure, non è proprio così.

Accettare la regola della assoluta equivalenza degli esseri umani dal punto di vista dei diritti e della dignità è la prima e ineludibile legge che governa e rende possibile la convivenza pacifica. La violazione di questo fondamento è la causa principale dei conflitti che stanno martoriando il pianeta – e che lo hanno martoriato nelle epoche passate.

Guerre, sopraffazioni, razzismi, odio e rivalità – in fondo, abbiamo dato cinque nomi diversi alla stessa cosa – non possono essere sconfitti se non percorrendo la strada virtuosa dell’eguaglianza perfetta tra esseri umani. Strada virtuosa, ma anche difficile: negli ultimi millenni gran parte dell’umanità si è impegnata a fondo per dare il peggio di sé e per tenersi accuratamente lontana da un simile percorso, che dovrebbe invece essere naturale.

Bianchi e neri, destra e sinistra, sudisti e nordisti, guelfi e ghibellini… ateniesi e spartani…

La nostra abilità nel creare barriere e sbarramenti è praticamente infinita e inquina – straripando e coprendo di minacce, violenza e morte – persino scaramucce amichevoli come le gare sportive.

Le scaramucce si fanno poi ancora meno amichevoli quando nel ballo finiscono credenze spirituali e fedi religiose. Nel nome di dei e profeti generalmente descritti come amorevoli, misericordiosi e compassionevoli si scatenano da secoli guerre sanguinarie e torture spietate, frutto di fanatismi opposti ma identici che, volendo annientare l’avversario per assimilarlo a sé, eliminano e sostituiscono ogni traccia di comprensione umana, di razionalità e di empatia.

Una cosa che tra l’altro mette in ombra almeno in parte i frutti che lo spirito produce o dovrebbe produrre nell’animo del singolo e della comunità: la pace, la cooperazione, l’aiuto, la comprensione reciproca. Le tante pratiche per una buona vita. La Pietas. La Virtus del mondo classico. E si potrebbe continuare.

Invece, vedere sacerdoti e pseudo profeti dei più vari orientamenti che incitano all’odio e alla divisione, che propagandano come unica, vera e  possibile la loro divinità a discapito di tutte le altre (Il mio dio lava più bianco del tuo) genera nel sentire comune un brivido di orrore, che come prevedibilissima conseguenza allontana semplicemente le persone – quando possono – da qualsiasi cosa abbia a che fare con la sfera del sacro; oppure le getta nelle mani di sette non di rado affaristiche, stoltamente misteriche e iniziatiche o, ancora peggio, dichiaratamente soffocanti, corrotte e illegali.

Ciò che dovrebbe produrre luce spesso finisce per generare tenebra.

Come sempre – vista l’assoluta identità tra santità e semplicità – la strada più breve per giungere a un atteggiamento sano e maturo è quello più semplice e, in qualche modo, più naturale: considerare le differenti visioni religiose assolutamente identiche dal punto di vista della dignità e della importanza.

La sfera del sacro – che nel passato è stato rappresentato come quel Magnum Mysterium che circonda e avvolge l’esistenza umana, e che viene percepito anche dal pensiero laico – è qualcosa che evidentemente sfugge alla capacità di comprensione della mente umana.

L’uomo è una formica / che cerca cibo/ camminando su un’equazione.

Occorrono le forze riunite, come in un coro polifonico del Rinascimento o dell’età barocca, per percepire almeno in parte il disegno globale, il profumo dell’Assoluto. Ognuno deve svolgere al meglio il proprio ruolo.

Che ne sarebbe di un Madrigale di Monteverdi se venisse ridotto alla sola voce dei soprani? Non ci sarebbe nulla di errato: i soprani sono uno degli elementi della partitura, non cantano una sola nota che l’autore non abbia previsto. Ma il risultato sarebbe povero, incompleto, deludente. Provate ad aggiungere una voce per volta: ecco che gradualmente il pensiero di Monteverdi viene fuori, fino all’esplosione finale, la cantata nella sua completezza, quando tutte le voci eseguono – correttamente armonizzate – la parte che era stata prevista per loro.

La parte che era stata prevista per loro.

Ecco, questo è il vero sforzo che occorre fare quando si parla di religione e di spiritualità. Il salto di qualità, il cambio di ottica.

Dobbiamo arrivare a pensare che l’Assoluto (Il Mysterium che è al di fuori e dentro me) parla in modi differenti; che adegua a epoche storiche e popolazioni lontane il suo linguaggio e si mette in comunicazione hic et nunc – qui e ora! – di continuo e non una volta per tutte. Un grande salto, perché implica che riusciamo a trovare il coraggio di stravolgere tutto quello in cui credevamo, cominciando a far crollare il castello di certezze che si erge su una base sbagliata e pericolosa.

Non è uno scherzo: nessuno, che sia testardamente arroccato sulle sue convinzioni, avrà mai voglia di recedere di un solo millimetro. Ognuno di noi è convinto che il suo dio (o il suo non-dio: il caso) lavi più bianco del dio di un altro, per dirla con il linguaggio televisivo delle pubblicità. In numerosi casi siamo convinti che si tratti di un altro dio; addirittura, che uno (il mio) esista e l’altro no.

Può stupire, per esempio, venir a sapere che Al-Lah (Allah) è il nome che i cristiani arabi usano per designare il Dio della tradizione cristiana: questo avviene semplicemente perché in arabo Al-Lah significa Iddio, Il-Dio. Non solo i musulmani chiamano il loro Dio Allah. Anche i cristiani. E sono cristiani come tutti gli altri cristiani. Punto e stop.

Un discorso del genere può suonare blasfemo; oppure può sembrare frutto di una mentalità relativistica.

Perché credere in un Dio specifico? Perché credere nell’assenza di un qualsiasi dio? Tanto, una cosa vale l’altra, no? Anzi, ancora di più: prendiamo un pezzo da una religione, un pezzo da un’altra. Ci vogliamo tanto bene? Eh, quello è il cristianesimo. Voglio trovare la pace del cuore e della mente? Prendiamola dal buddhismo… Ho un forte senso della legge? Voilà, è ebraismo! E si potrebbe continuare.

Arriviamo così al supermarket delle religioni: comperiamo solo quello che ci piace; o che magari è in offerta speciale (Io con Dio ho un rapporto tutto mio! Dicono spesso i praticanti del bricolage spirituale e che si costruiscono un mondo interiore prendendo un pezzo di qua, un pezzo di là.)

Il Cammino di Benedizione è lontano tanto dalla mentalità relativistica, quanto dal suo esatto opposto, l’assolutismo (Solo il mio Dio esiste, solo il mio Nulla non-esiste, tutto il resto son bufale).

E allora?

Come lo quadriamo il cerchio?

Semplice. Torniamo al punto di partenza. Al nostro madrigale di Monteverdi.

Anzi, facciamo un salto molto più indietro, andiamo dritti e filati al tempo in cui venivano redatti testi sacri cosmogonici come le Upaniṣad o il Genesi. Questi testi – come molti altri – descrivono la creazione del cosmo utilizzando un linguaggio immaginifico e diretto, molto comprensibile dalle persone che vivevano in quei tempi remoti. Per quanto riguarda il Genesi, ad esempio, si racconta che, prima della creazione di qualsiasi altra cosa, lo Spirito di Dio aleggiasse sopra le acque. Quindi, secondo il Primo Libro della Torah ebraica, le acque sarebbero precedenti al Big Bang. Prima le acque del fuoco, per tradurla in soldoni.

Detta così fa semplicemente ridere.

È più che evidente che l’anonimo redattore – e tutti quelli che scrissero i venerabili e antichissimi testi di tutte le religioni – nulla sapeva di astrofisica e, soprattutto, nulla gli importava di saperne. Fondamentale, per lui/loro, era comunicare un messaggio. Che, utilizzando quel tipo di scrittura altamente poetica, giungeva dritto come un dardo all’obbiettivo: ovvero, raccontare all’Uomo che il mondo nel suo complesso era la creatura di un Creatore onnipotente e onnisciente.

Ecco, questo è il modo unico che abbiamo per raggiungere l’Assoluto: capire che comunica hic et nunc, qui e ora, utilizzando gli strumenti linguistici adatti a chi lo sta ascoltando in quel momento. L’unico modo di intessere un dialogo proficuo.

Se, per gioco, immaginassimo un libro di astrofisica dedicato al Big Bang e scritto in termini scientificamente impeccabili mille e trecento anni prima di Cristo (“E Iddio, a partire da massa nulla ed energia infinita, provocò una esplosione immane, che in 10-13 sec si espanse a un raggio paragonabile a quello della distanza media del pianeta Mercurio dal Sole”) è chiaro come… il Sole che nessuno avrebbe capito nulla e che quei preziosi fogli sarebbero finiti in un tempo brevissimo a incartare il pesce di qualche arcaico mercato. Con tanti saluti alla redazione di un ennesimo Libro Sacro.

Stiamo scherzando, ovviamente. Ma è evidente che il problema della conoscenza e – ancor più – quello della verità si scontra con questi dettagli (dettagli?) difficili da negare. Che credito si può dare a un Libro che pretende di essere portatore di Verità, e che inizia inanellando una serie di errori scientifici giganteschi? Possiamo percepirlo come uno sgangherato esercizio di fiction ante litteram; oppure, possiamo cambiare ottica. È possibile percepire il profumo della Verità, anche se raccontata in termini obsoleti, lasciandosi incantare dalla poesia di cui tutte le cosmogonie sono intrise. Arriveremo così al cuore del messaggio. Magari scoprendo singolari somiglianze tra i vari testi.

A questo punto, possiamo davvero tornare al nostro Madrigale di Monteverdi.

Allora, sono più importanti i soprani o i baritoni?

La risposta è sempre la stessa: entrambi – ovviamente – hanno la stessa importanza, anche se ricoprono ruoli estremamente diversi.

Ecco: questa è l’ottica con cui va affrontato il discorso sulla comprensione spirituale reciproca.  Il mistero dell’Assoluto – il principio divino, ma anche la sua negazione più assoluta – è così complesso, fitto e impenetrabile che per avvicinarlo almeno un po’ è necessario cantare in coro. Tutte le voci sono necessarie, perché illuminano zone d’ombra diverse. Tutte le voci hanno pari dignità.

Esattamente come nel coro, i soprani devono cantare da soprani, cercando di farlo al meglio; non si scimmiotta chi ti sta vicino, non si scende di qualche tono, non si cercano scorciatoie o facili intese, a parte le consonanze previste dall’autore.

Sei soprano? Canta da soprano, e cerca di essere il miglior soprano possibile. Canti da baritono? Comportati esattamente nello stesso modo.

Tuttavia, comprendi anche le altre voci; renditi conto che la loro bellezza diventa anche la tua bellezza, proprio come la tua virtù si rifletterà sulla loro. Armonizzati con loro, segui il loro tempo, non prevaricare e pretendi di non essere prevaricato.

Se gli altri cantanti cantano bene, i soprani non diventeranno baritoni: diventeranno semplicemente soprani ancora più bravi. E proveranno meraviglia per la bravura dei tenori o dei contralti.

Tutto questo non c’entra nulla con il relativismo Low Cost sbandierato – sotto una mano sottile di vernice pacifista – da falsi profeti. Ed è anche la negazione più totale del suo esatto opposto, quell’assolutismo religioso (il fondamentalismo) che nei secoli, alle più diverse latitudini, ha prodotto null’altro che sofferenza e morte.

Questo atteggiamento benedicente è un percorso nuovo – in realtà dovrebbe essere naturale, quindi antichissimo… ma le cose fin qui non sono andate nel migliore dei modi – che porta alla comprensione dell’altro, all’arricchimento reciproco e alla pace definitiva.

Sia la pace l’obiettivo finale di ogni nostra azione.

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