Monarchia? No, grazie!

Gli eventi relativamente recenti legati alla incoronazione del monarca del Regno Unito – nonché, salvo errori, Imperatore dell’impero britannico o di quel che ne resta, e una valanga di altri titoli, tra cui capo della chiesa anglicana – sono stati amplificati oltre misura dai sistemi di informazione. È risaputo che la data di questo genere di eventi viene scelta con cura, in base a motivazioni non solo politiche o logistiche, ma anche di visibilità: per fare un esempio di che cosa questo significhi, basti ricordare quando il suddetto monarca, allora soltanto Principe del Galles, sposò l’attuale regina, allora soltanto duchessa di Cornovaglia, e lo fece distanziando in modo opportuno le proprie nozze dalle esequie di Papa Giovanni Paolo II. Questo per far sì che il Royal wedding potesse essere visto da tutto il pianeta, come si conviene a una faccenda di tal rango.

Ignoriamo, per restare al caso più recente dell’incoronazione, se il successo dell’overdose di immagini e commenti, talk show e interviste a esperti veri o sedicenti abbia raggiunto le cifre sperate: in ballo, oltre le questioni legate all’immagine e al prestigio della casa reale britannica, c’era anche una enorme quantità di denaro che proviene dai diritti per le riprese televisive e da tutti gli altri aspetti che la kermesse implica. Una risposta di gradimento da parte del pubblico era non solo auspicabile, ma del tutto necessaria per la tenuta dei conti.

Immaginiamo, comunque, che sia andata benone: la cosiddetta famiglia reale britannica e tutti gli accadimenti che la riguardano – per ammissione dello stesso Carlo III – sono una soap opera infinita e gratuita che regala a una audience assai vasta veleni e palazzi da sogno, cappellini ridicoli e liti feroci, gioielli mozzafiato e banalissime corna; e l’audience ricambia con indici di gradimento altrettanto da capogiro.

Il punto non è che il monarca britannico conti più o meno come il due a briscola (per uscire con eleganza dalla brutale incontestabilità di una simile constatazione, i britannici sono soliti dire che il re regna, ma non governa): possono anche esserci re potenti, magari in ambiti più limitati, come le terre di Africa e di Asia, ma la questione non si sposta di un millimetro – anzi, peggiora.

Il punto è che l’istituto della monarchia, nella sua interezza, è completamente inaccettabile e va rigettato con determinazione e senza sconti di alcun tipo.

Basta con le monarchie di qualsiasi tipo: comunque, sempre e per sempre.

Proprio per il fatto che la Terra è rotonda, che i confini nazionali sono null’altro che obsoletissimi effetti ottici, che nessuno nasce superiore e nessuno inferiore, l’idea stessa che un personaggio – sia pure come conseguenza di condizioni storiche, politiche ed economiche molto complicate e ramificate – venga considerato e/o si consideri più in alto degli altri e si permetta di comandare quelli che definisce sudditi non può che generare un genuino orrore. Il monarca, inoltre, è solito riferirsi a una qualche divinità per giustificare il suo potere; e con questo chiude il cerchio, rendendo di fatto impossibile ogni critica, a meno di voler rischiare una condanna morale o fisica per eresia o blasfemia.

A poco giova ricordare che nemici giurati, appartenenti alla stessa religione o a religioni diverse, si appellano al proprio dio privato e personale per chiedere la vittoria in battaglia, esattamente nello stesso momento in cui l’avversario, nel chiuso nel suo quartier generale, fa altrettanto. E del resto, Dio con noi era il famigerato motto dei nazisti, messo lì a giustificare l’enormità dei loro crimini.

Per uscire da così tanto orrore e restare nel campo delle osservazioni più banali e, grazie a Dio, meno sanguinose, va considerato che i bambini appena nati, nelle loro culle, sono tutti uguali: genera sgomento pensare che – in quella condizione – qualcuno di loro sia considerato un predestinato a cui arride un destino roseo e pieno zeppo di privilegi.

Obiezione prevedibile: anche chi nasce in una famiglia ricca va incontro a una vita più liscia – se non addirittura da favola – mente gli altri, i meno fortunati, dovranno arrancare per tutta l’esistenza come i loro genitori e i loro nonni. Va così, è sempre andata così, inutile farsi il sangue cattivo o cercare di combattere contro i mulini a vento.

Verissimo.

Ma è altrettanto vero che per vivere una vita almeno dignitosa sia necessario mettere paletti ideologici chiari, forti e incrollabili: altrimenti si finisce in una palude anarchica e disordinata, dove tutto va bene e dove il denaro e il potere giustificano qualsiasi cosa. Eliminare l’idea che un essere umano nasca intrinsecamente superiore a un altro è – comunque lo si voglia considerare – un balzo avanti sul cammino della civiltà, della democrazia e della inclusività. Questo non eliminerà di certo i super-ricchi viziati e arroganti, ma almeno permette di lavorare senza ostacoli e preconcetti sulla riduzione della forbice tra privilegiati e sfortunati. Come per i problemi ambientali, si tratta di un lavoro lungo, faticoso, difficile, caratterizzato da alcuni passi in avanti e molte regressioni.

Ma ciò non toglie che sia una strada da percorrere senza né tentennamenti, né ripensamenti.

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