Semplicità, ovvero santità

La semplicità è uno dei pochi concetti astratti – con profonde ripercussioni sulla vita pratica – per il quale sia possibile ipotizzare una rappresentazione grafica: un segmento che collega un punto A con un punto B.

Per andare da A a B si va semplicemente da A a B, in linea retta e senza deviazioni. Semplice. Lineare, appunto.

Se applicassimo questo modo di agire a ogni cosa nella vita, l’intera esistenza umana si libererebbe di colpo di infra- e di sovrastrutture che entrano in ogni dove e la avvelenano.

La domanda è una sola: che cosa è veramente necessario? Di che cosa posso fare a meno?

La grande domanda necessita di una risposta altrettanto impegnativa, che è molto più semplice se restiamo nel campo materiale: prendere decisioni sulle cose concrete non presenta troppe difficoltà o occasioni di dubbio. I vestiti? Servono per coprirsi, non per seguire la moda o comunicare il nostro status sociale; gli automezzi servono per il trasporto, non per fare sfoggio di ricchezza; l’arredamento deve essere funzionale a coloro che vivono nell’ambiente… Questo modo di affrontare la vita riduce tutto al minimo – non per niente si chiama minimalismo – e ridimensiona drasticamente gli sprechi, con un occhio alla protezione dell’ambiente.

La faccenda, dunque, è relativamente facile nelle questioni pratiche; può addirittura diventare un gioco e persino una moda. Togliere, togliere, togliere: la vita si linearizza, la salute se ne giova (eliminiamo i cibi che rovinano e appesantiscono, purifichiamo il corpo con tisane e pratiche virtuose, rispettiamo i ritmi del corpo…), la natura ringrazia. Ed è già ottima cosa.

Naturalmente non basta. Spirito e intelletto hanno sfere di influenza che pervadono tutte le attività dell’essere umano, ma agiscono anche in ambiti specifici e riservati. Utilizzare la semplicità come filtro decisionale in questo caso ci mette di fronte a bivi difficili da superare. Se è non troppo complicato assegnare il giusto peso specifico a un cappotto o a un’autovettura, il discorso cambia in modo radicale quando siamo di fronte alla scelta di un lavoro, di un corso di studi, di una persona con cui si voglia instaurare un legame sentimentale; oppure ancora dinanzi all’adesione a una ideologia o a un credo religioso, con tutte le conseguenze del caso.

A questo punto entra in gioco quello che psicologi e padri spirituali chiamano il discernimento: ovvero quella riflessione ponderata, spesso a lungo, che mira a depurare la decisione finale da tutti gli elementi che potrebbero distorcerla. Una decisione importante presa senza la opportuna meditazione è fonte di rovina. Dalle liti di condominio alle guerre, dai comportamenti perturbati ai suicidi, quasi tutte le azioni umane di segno negativo derivano da scelte – o da complessi di scelte – non sufficientemente ponderate.

Ed è esattamente qui che la semplicità torna come un faro nella notte. La bussola decisionale funziona bene quando è orientata verso il punto cardinale dell’essenzialità, là dove si vive e si opera all’insegna del togliere, piuttosto che dell’aggiungere.

La semplicità è imparentata – o addirittura è un sinonimo perfetto – di altre realtà, quali la povertà, la santità, la serietà. La sobrietà, la frugalità. Ce lo hanno insegnato gli antichi maestri spirituali; lo ribadiscono oggi i moderni guru dell’arte del vivere, che non di rado si collocano agli antipodi di quegli antichi maestri.

Semplicità coincide anche con purezza: più si procede nella strada dell’eliminare, più ci si depura da sovrastrutture e incrostazioni. Si toglie l’inessenziale. L’acqua è una cosa semplice, ed è pura. La nostra vita si fa pura quando diventa semplice; e si fa semplice quando viene purificata.

credit Alfredo Ferrero

La semplicità coincide anche con la santità?

La semplicità conduce al punto di arrivo senza disturbi, rumori di fondo, distrazioni; la santità implica l’adesione a un progetto umano – o divino, se associamo al concetto di santità una valenza religiosa – che nello stesso tempo è completa, pura e incondizionata. Anche la santità si muove in linea retta, e non è un caso che quasi tutti i santi, antichi e moderni, siano stati anche campioni di sobrietas.

Quasi tutte le religioni e gran parte delle filosofie di vita raccomandano stili di vita morigerati; propongono itinerari nel grande mondo della meditazione e della preghiera per raggiungere un atteggiamento di distacco dalla maggior parte delle cose materiali; indicano come virtuosi comportamenti sobrii.

Cibo e vestiti, attività lavorativa e sport, volontariato e hobby diventano parti di un tutt’uno: aspetti differenti di un unico discorso. Vivere puri, semplici, rettilinei è un’arte che non conosce limiti o etichette; che travalica le semplici azioni e le inquadra in un panorama generale entro il quale si situa l’esistenza nella sua interezza. La semplicità di vita non riguarda soltanto questo o quell’atteggiamento; questa o quella convinzione, senza alcun rapporto con tutto il resto. Non possiamo mangiare sano e semplice ed essere estremamente complicati nei rapporti interpersonali o negli atteggiamenti sul lavoro. O meglio: possiamo benissimo permetterci questo lusso, ma deve esserci ben chiaro che non raggiungeremo mai la maturità; e di conseguenza gli altri ci conosceranno per quello che siamo e non si fideranno mai di noi appieno. L’essere umano – e questo ce lo insegnano più i maestri orientali che quelli occidentali – è un unicum, non divisibile in fette, strati o parti anatomiche.

Il gioco di ridurre può spingersi molto oltre. Se si dovessero mantenere solo le cose immediatamente utili, per raggiungere la semplicità dovremmo far finire l’arte, le religioni, la spiritualità? Che cosa può essere etichettato come utile? Di più: l’utilità immediatamente percebibile – anzi: l’utilità tout court – è il criterio principale nelle scelte da operare sul cammino della semplicità?

Di riduzione in riduzione, potrebbe essere facile trovarsi all’improvviso in un mondo grigio, popolato di (pochi) oggetti minimali e spesso brutti (tanto il bello non serve, no?), senza nulla di superfluo; e con scarsa o nulla attenzione verso ciò che è invisibile agli occhi.

Visitare un museo, frequentare un circolo culturale o un gruppo religioso, organizzare una festa o ascoltare musica appaiono intralci a chi propone una visione radicale e intollerante. Non è un caso che i regimi totalitari e i fondamentalismi di tutti i tipi stigmatizzino duramente tutto ciò che può apparentemente essere eliminato.

Rischia di essere un vicolo cieco, dal quale si può uscire soltanto nutrendo la convinzione che ciò che è bello e ciò che ci fa alzare gli occhi verso l’Alto – qualsiasi sia il significato e l’ampiezza di questa parola – è essenziale quanto un oggetto di utilizzo immediato.

Tutto ciò rimanda anche a un’altra questione, bene indagata da filosofi e maître à penser di tutti i tempi. Il possesso di beni più o meno materiali – e persino di ricchezze – può essere vissuto in modi diversi: può entrarci nella carne (non riesco più a fare a meno di…), oppure può restare in superficie, come ben dimostra colui che non si dispera quando perde qualcosa che i più considerano indispensabile o prezioso.

Ancora una volta, raggiungere la maturità delle scelte e la capacità di discernimento tra ciò che è utile e ciò che può essere tranquillamente sfrondato, passa attraverso l’ampliamento delle conoscenze, la lettura continua, la riflessione, il cammino spirituale, l’analisi di se stessi e della propria indole (mai contrastare in modo categorico le proprie inclinazioni!), il confronto con l’Altro… e si potrebbe continuare a lungo. Si può privilegiare questo o quel cammino, ma l’importante è attribuire alla ricerca della semplicità la corretta importanza e destinarle il giusto posto nel percorso di crescita individuale.

Ci si può avvicinare alla meta, anche molto; ma nessuno può mai dire di averla raggiunta una volta per sempre. Gli altri ci possono dire se affrontiamo la vita in modo sereno, semplice, equilibrato e lineare; questo giudizio è una conferma ed è molto importante, perché ci può regalare una ulteriore sensazione di tranquillità.

Trovare l’equilibrio tra i due poli opposti – ovvero, l’ascetismo radicale e l’edonismo sfacciato – è l’affascinante percorso che occupa tutta la durata della intera vita.

Gennaio 2022

Torna in alto